Reportage dall’Uganda
Iniziamo il nostro reportage dall’Uganda condividendo la riflessione di Giada Antonini.
Molte di loro erano solo bambine quando sono state strappate con la forza alle loro famiglie. Hanno vissuto per anni nella foresta, vittime di soprusi e abusi, ridotte in schiavitù sessuale. Quando sono riuscite a fuggire, spesso con figli al seguito, sono tornate nelle loro comunità, che però le hanno frequentemente rifiutate e allontanate proprio a causa del loro passato.
Si sono ritrovate sole, isolate, abbandonate, senza mezzi per sopravvivere né per garantire un futuro ai propri figli. Grazie a questo progetto, hanno potuto ricevere un primo supporto economico con cui avviare una piccola attività — al mercato o nei campi — e permettersi così una casa in affitto.
E, cosa altrettanto importante, hanno potuto finalmente ritrovare una comunità: una rete di donne che condividono lo stesso dolore e che si sostengono a vicenda.
Ogni giorno stiamo andando a incontrarle. Ascoltare le loro voci è un’esperienza che lascia il segno. Nonostante il dolore, oggi scelgono di raccontare la loro storia con dignità e forza. Lo fanno con il profondo desiderio di essere finalmente ascoltate, riconosciute, comprese.
La loro voglia di vivere si manifesta nel desiderio di prendersi cura dei figli, di garantire loro un’istruzione, una casa, un futuro. Queste storie non devono essere dimenticate. Ascoltarle è un atto di memoria, rispetto e giustizia — tutte cose che, troppo spesso, gli sono state negate.
La forza, il coraggio e la resilienza di queste giovani donne è straordinaria. La loro determinazione merita un’ammirazione profonda. Questo progetto rappresenta per loro un’occasione di rinascita, e sono estremamente grate di farne parte. Io, d’altra parte, sono profondamente grata a loro: per avermi accolto nella comunità, aperto la porta delle loro case, per i sorrisi, i momenti di condivisione, e per avermi mostrato — con semplicità e coraggio — la loro voglia di rinascere.


